CCCP - CSI - PGR

Un gruppo, tre gruppi.

CCCP Fedeli alla linea - Consorzio Suonatori Indipendenti - Per Grazia Ricevuta

 

Non fare di me un idolo mi brucerò

 

All’inizio degli anni ’80, mentre il capitalismo occidentale impera e il comunismo è in netta fase di stallo, nasce in quel di Reggio Emilia, per opera di due giovani (ma non giovanissimi) del luogo conosciutisi casualmente a Berlino, un complesso chiamato “CCCP Fedeli alla linea”, ensemble atipico per diversi motivi nel panorama musicale italiano.

Giovanni Lindo Ferretti alla voce e Massimo Zamboni alla chitarra sono coadiuvati da una batteria elettronica, bassisti che si succedono negli anni senza lasciare rilevanti tracce, e soprattutto da Annarella Giudici e Danilo Fatur, rispettivamente “benemerita soubrette” e “artista del popolo”, che si esibiscono sul palco durante i concerti e le performances del gruppo.

L’ispirazione principale viene dal punk e dalla sua idea che chiunque possa esprimersi anche senza essere un musicista (e in questo caso un performer) professionista o sopraffino, ma anche dal punto di vista strettamente musicale le brevi, ripetitive e caotiche canzoni punk influenzano non poco i primi brani del gruppo.

In realtà l’ideologia e l’iconografia di questo movimento appartengono solo fino a un certo punto all’esperienza dei CCCP, che in Tu menti (1987) descrivono in chiave ironica i loro “cugini” anglosassoni, riprendendo i famosi versi dei Sex Pistols: «Dicono sempre così:/ “Io sono l’Anarchia”/ “Ecco un altro Anticristo”/ Ma eri solo carino/ Proprio carino/ Pigro di testa/ E ben vestito/ Senza blue jeans/ Eri carino/ Proprio un amore di ragazzino».

È un po’ la storia di questo complesso, sempre al di fuori di qualsiasi schema precostituito: punk ma pronto a spostarsi verso il canto gregoriano, rock ma attento alla tradizione popolare (fino al ballo liscio), “comunista” ma critico nei confronti dei compagni e sempre pronto a dialogare con l’America e con la Chiesa (a proposito di religiosità, ecco cosa dice di sé Ferretti nel 2000: «A chi mi chiede se credo in Dio rispondo di sì. Me l’ha detto mia nonna, che esiste Dio, e nulla di quello che mi ha detto mia nonna, con gli anni, si è rivelato falso»).

I bersagli dei primi dischi sono molteplici: l’amore facile e veloce («Un’erezione un’erezione triste/ Per un coito molesto/ Per un coito modesto/ Per un coito molesto/ Spermi spermi indifferenti/ Per ingoi indigesti» da Mi ami?); l’atarassia raggiunta chimicamente («Il valium mi rilassa/ Il serenase mi stende/ Il tavor mi riprende/ C’è chi mi dà energia/ E chi la porta via/ E voi cosa volete?/ Di che cosa vi fate?/ Dov’è la vostra pena?/ Qual è il vostro problema?» da Valium Tavor Serenase); soprattutto il benessere capitalistico, imperante anche nelle cosiddette regioni rosse («Sazia e disperata/ Con o senza TV/ Piatta monotona/ Moderna attrezzata/ Benservita consumata/ …/ ¼ al benessere/ ¼ al piacere/ ¼ all’ideologia/ L’ultimo quarto se li porta tutti via» da Rozzemilia).

Anche il comunismo non è risparmiato dal sarcasmo, come testimonia, con un geniale ossimoro, qualche anno dopo (1989) il brano Huligani Dangereux: «Comunista Italiana osa/ Annegata guada vorticosa/ Aggiornata storia: decorosa/ Moderata rivoltosa».

Si sarà intuito che il modo di scrivere i testi procede per immagini rapide (seguendo la musica) costruite con accostamenti originali e stranianti, tecnica molto moderna e sempre più affinata col passare degli anni specialmente da Ferretti (anche nella prosa che accompagna le pubblicazioni dei CCCP). I verbi spesso non sono necessari e la musicalità delle parole è centrale.

I versi delle canzoni diventano, perlomeno tra il pubblico del complesso, veri e propri slogan, che ricavano spesso dalla loro ripetizione o dal contesto in cui sono posti un significato ironico.

Il metodo appena descritto, la scorza musicale spesso dissonante, l’apertura a 360° gradi rispetto a tutti i temi e le posizioni, rendono spesso le canzoni difficili da decifrare. Questo fatto, insieme all’attenzione ad esprimersi sia col testo che con la musica, rende Ferretti e Zamboni unici nel cosiddetto panorama rock italiano. Come vedremo, l’anticonformismo ragionato dei nostri si rivelerà però spesso incompreso dagli stessi fans.

Interessantissimo notare che un tema portante della poetica dei CCCP e soprattutto del loro ultimo album (Epica Etica Etnica Pathos del 1990) è sicuramente la libertà. Il modo in cui è sviscerato è esemplare dell’originalità del gruppo.

Ancora una volta svolgono un ruolo decisivo gli accostamenti. Si vedano Aghia Sophia («Vivrò l’ordine la libertà l’obbedienza/ la responsabilità, l’uguaglianza»), Mozzill’o Re («Liberté egalité io rubo a te tu rubi a me», ripresa del canto popolare lucano “dei Sanfedisti”), Depressione caspica (titolo da premio Nobel – «Se l’obbedienza è dignità, fortezza/ La libertà una forma di disciplina»). Sicuramente in questi decenni la libertà è un concetto considerato affine a quello di indipendenza, non certo a disciplina, obbedienza, responsabilità.

La posizione di Ferretti è espressa con precisione in Narko’$: «Sai che fortuna essere liberi/ Essere passibili di libertà che sembrano infinite/ E non sapere cosa mettersi mai/ Dove andare a ballare a chi telefonare». Dunque il problema della vita non è quello di aprire o farsi aprire la strada verso innumerevoli possibilità. La realizzazione di sé e l’esperienza di libertà non stanno nel poter fare di tutto… Posizione “piuttosto” originale, al termine degli sfrenati anni ’80.

I pezzi più stupefacenti e spiazzanti della seconda parte della carriera dei CCCP sono comunque Madre (dall’altrettanto stupefacente LP Canzoni, preghiere, danze del II millennio – Sezione Europa), struggente preghiera alla Madonna («Madre di Dio/ E dei suoi figli/ Madre dei padri e delle madri/ Madre, oh Madre o Madre mia/ L’anima mia si volge a TE») e Annarella, che segna la fine dell’avventura del gruppo.

«Lasciami/ Qui/ Lasciami/ Stare/ Lasciami/ Così/ Non/ Dire/ Una/ Parola/ Che/ Non/ Sia/ D’amore/ Per/ Me/ Per/ La/ Mia/ Vita/ Che/ È/ Tutto/ Quello/ Che/ Ho/ È/ Tutto/ Quello/ Che/ Io/ Ho/ E/ Non/ È/ Ancora/ Finita»: breve invocazione (verticale fin dalla disposizione delle parole!) rivolta da Ferretti al padre morto prima della sua nascita e regalata all’omonima “ soubrette” parte integrante del complesso, una volta intuito che il già citato Epica Etica Etnica Pathos non sarà che la fine della storia dei CCCP Fedeli alla linea.

Tra le cause della rottura gioca senz’altro il fatto che Ferretti e Zamboni registrino il disco insieme ad alcuni ex componenti e collaboratori dei fiorentini Litfiba, ritirandosi per qualche settimana a vivere in una casa colonica nella provincia di Reggio Emilia. La vita in “comunità musicale” rende praticamente superfluo l’apporto dei performers Annarella e Fatur ed inaugura un modo di lavorare che sarà poi sempre utilizzato nel successivo progetto musicale dei due ex-CCCP e degli altri ex-Litfiba.

Il Consorzio Suonatori Indipendenti (C.S.I., autoironico riferimento alla Comunità degli Stati Indipendenti, nata sulle ceneri dell’U.R.S.S.), si forma nel 1992 in vista di un unico concerto da tenere all’auditorium del Museo d’arte contemporanea di Prato, col materiale e i musicisti già coinvolti in Epica Etica Etnica Pathos.

Il progetto ha buon esito e dà vita a ulteriori concerti, diventando poi un complesso a tutti gli effetti, ma con la peculiarità di quell’indipendenza già proclamata nel nome, cioè della possibilità di staccarsi in qualsiasi momento, per poi ritornare a collaborare con gli altri. La fecondità dei C.S.I. si vede anche dai frutti, che oltre a produrre negli anni ’90 dischi di profondità e spessore inauditi in Italia, dà vita al Consorzio Produttori Indipendenti, attorno a cui ruotano numerosi artisti a cui è data la possibilità di dare una svolta alla propria carriera discografica (su tutti Marlene Kuntz e Yo Yo Mundi).

Se la musica è a tutti gli effetti un rock multiforme che attraversa tutte le tonalità, i testi, scritti sempre da Ferretti, persistono nella loro peculiare enigmaticità, in cui il titolo spesso ricopre una funzione essenziale e chiarificatoria (si veda per esempio Occidente, che contiene una carrellata di immagini riferite al mondo occidentale). Mai una parola superflua o banale, mai un verbo di troppo.

L’avventura dei C.S.I. inizia comunque con un chiaro monito di Ferretti, derivato probabilmente dall’esperienza musicale precedente, dai cui testi era facile fare incetta di slogan: «Se tu pensi di fare di me un idolo lo brucerò/ Trasformami in megafono mi incepperò» (A tratti). È la canzone che introduce il primo LP, Ko de mondo, che sta a significare “fine del mondo”, in senso geografico (il disco è registrato alle estremità bretoni della Francia, ma Codemondo è anche un paese emiliano) ma ovviamente anche metafisico. Ed ascoltare la canzone, soprattutto in concerto, è veramente un’esperienza da fine del mondo... Si comincia dunque con la fine, rispettando la paradossalità prediletta da Ferretti e Zamboni.

Sono molteplici durante gli anni ’90 le attività del quintetto (oltre ai due emiliani, il romagnolo Giorgio Canali alle “chitarre disturbate” e i fiorentini Gianni Maroccolo al basso e Francesco Magnelli alle tastiere e “magnellophoni”), che si avvale di vari batteristi e che fin dal primo disco acquista l’apporto fondamentale della voce di Ginevra Di Marco (che “insegna a cantare” a Ferretti, per ammissione di lui stesso). Tour acustici o elettrici, colonne sonore, progetti in memoria di avvenimenti storici come la resistenza o personaggi come Beppe Fenoglio, oltre alla già menzionata attività di produzione di altri gruppi.

L’umanità descritta da Ferretti negli anni dei C.S.I. continua a non rinunciare ad un solo capello della propria profondità, fino ad arrivare al limite della tracotanza: «L’insolente promessa sciocca vacua solenne di bastare a sé» (Irata). Eppure, soprattutto nel terzo e ultimo disco del gruppo (Tabula Rasa Elettrificata o, in breve, T.R.E.), emerge la coscienza che la felicità non è raggiungibile con le proprie forze.

Bolormaa è il nome di una famosa giovane contorsionista mongola (il disco è successivo ad un a lungo desiderato viaggio in Mongolia di Ferretti e Zamboni), simbolo del fatto che «La retta è per chi ha fretta». Con suggestivo gioco di parole, il cantante prende spunto da questa immagine per affermare che: «Densamente spopolata è la felicità/ Preziosa/ La felicità è senza limite e viene e va». Inutile fingere scorciatoie, o cercare di dominare ciò che non dipende da noi.

L’unica possibilità sembra essere quella di rivolgersi a qualcosa fuori di sé, come affermato con perentorietà in Forma e sostanza: «Comodo ma come dire poca soddisfazione/ Soddisfazione, Signore/ Voglio ciò che mi spetta/ Lo voglio perché mio/ Mi aspetta». Sembra una riedizione del “vogliamo il mondo e lo vogliamo adesso” dei Doors, ma l’invocazione stavolta è rivolta in una precisa direzione e il contesto dell’album rivela che il “voglio” di Ferretti è “insolente” ma solo perché totalmente umano.

Il libretto rozzo dei CCCP e CSI, che raccoglie tutti i testi dei due gruppi e anche scritti inediti, contiene una breve “prosa poetica”, chiamata Anime fiammeggianti, che riassume bene la differenza tra le due posizioni: «I fuochi fatui si illuminano un attimo, non hanno consistenza./ Uno scoppio di volontà e tutto finisce/ adatti ad un mondo virtuale occupano per un attimo il luogo dell’apparenza. Belli,/ possibili, inutili, in forte crescita./ Possono solo confondere, per un attimo. Basta un sorriso a farli svanire./ Le anime fiammeggianti sono visibili sempre, anche da lontano, anche se distratti./ Si possono evitare./ Non nascondono la loro essenza, come potrebbero?/ A guardarle da lontano riempiono gli occhi/ a starle a sentire palpitano e scoppiano. Troppo vicine/ fanno male, scottare è la loro natura».

È la differenza tra un grido vuoto e sterile ed un ardore che illumina positivamente la realtà. Ardore che porta i nostri a scelte e posizioni ancora una volta peculiari, come quella di dividersi, dopo il successo che porta Tabula Rasa Elettrificata in testa alle classifiche, per poi ricomporsi, senza Zamboni, ancora una volta quasi per caso, grazie a una serata di letture e musica all’aperto dedicata a Giuseppe Dossetti (il “monaco ubbidiente” che aveva fondato la Democrazia Cristiana ed aveva successivamente preso i voti) sull’Appennino emiliano, nel giugno del 2001.

Ancora una volta l’entusiasmo per l’avvenimento inatteso li porta ad iniziare una nuova avventura, con sonorità differenti e attente anche alla world music, col nome di PGR (Per Grazia Ricevuta).

Le parole di Ferretti (non solo quelle cantate) non mancano mai di stupire. Il primo disco (omonimo) dei PGR è da lui dedicato, sulla scia degli avvenimenti dell’11 settembre 2001, «a coloro che, nel pericolo, potrebbero salvarsi fuggendo, ritirandosi, guardando altrove con ottime o passabili scuse, e non lo fanno. Ai poliziotti, ai carabinieri, le forze dell’ordine di cui nessuna collettività organizzata può fare a meno. Spesso abusati da chi difende lo status quo. Ma non per questo rispettati, né pagati il giusto […] A loro tocca sempre e comunque il peggio di noi».

Fin qui, i “progressisti” ex-compagni di viaggio di Ferretti potrebbero anche essere d’accordo. Ma il cantante emiliano non si limita a questo, e in epoca di manifestazioni anti-americane e pacifiste, se ne esce con l’affermazione che «la pace non è una soluzione, è una parte enorme della questione. La condizione umana è contingente, determinata da una serie infinita di problemi. Non accettare il fatto che il mondo vive una serie infinita di cambiamenti incredibili e veloci, urlare “Pace! Pace!” in un tempo in cui molto intorno a noi è guerra, è come urlare “Sanità! Sanità!” in una corsia d’ospedale. Tutti noi vorremmo vivere in pace, tutti noi vorremmo essere sani: non sempre è possibile, non sempre è plausibile, non sempre ce la fai […] Viviamo in un mondo che si è fatto della condizione umana un’idea un po’ troppo superficiale e può capitare di doverla pagare. Agli Jugoslavi è successo. Non sono cose che possono essere risolte con una battuta o con una bandierina alla finestra».

Ferretti ribadisce in Montesole, dal primo disco dei PGR: «Canto la guerra/ E so, non sono in buona compagnia/ Canto la pace che non è un mestiere, né un’ideologia/ Canto la libertà, difficile, mai data, che va sempre difesa/ Sempre riconquistata». L’applauso scrosciante a questi versi, ai concerti del neonato complesso, dimostra che il pubblico non si rende conto di applaudire contro di sé.

In conclusione, la descrizione più azzeccata della lunga carriera di Ferretti e soci è da lui stesso data efficacemente in un libro-intervista pubblicato alla fine della storia dei C.S.I.: «Il nostro è un gioco che si può fare da grandi, avendo una buona esperienza alle spalle, delle buone letture, delle buone frequentazioni e un casino di buoni amici. In realtà sono gli altri, le persone che hai intorno, a darti la possibilità di capire che cosa hai dentro».